LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza; F A T T O Con unico ricorso del 6 dicembre 1984, rubricato a pr. gen. sub n. 12870 e recante numerose eccezioni in fatto ed in diritto, i signori Maurizio ed Edoardo Bich hanno impugnato, chiedendone l'annullamento e la riforma, l'avviso di accertamento n. 38675/6, notificato loro l'ottobre precedente. Con detto provvedimento l'ufficio registro di Cha'tillon ha elevato (dalle denunciate L. 284.200.000 alle accertate L. 407.000.000 e rispettivamente da L. 82.140.000 a L. 86.000.000) il valore dei due lotti di beni dedotti nell'atto di divisione dagli stessi operata con scrittura privata autenticata a ministero notaio De Bernardi (rep. 12507) il 20 ottobre 1982 e registrata in Cha'tillon il 4 novembre successivo al n. 787, vol. 89. Non sfuggono ne' delicatezza (per complessita') ne' gravita' (per incidenza economica) della fattispecie sottoposta ad esame, la cui soluzione per l'universo postula un'articolata, approfondita ricognizione della normativa (sostanziale e procedurale, civilistica e tributaria) che ad essa presiede e d'altro canto non puo' non inquietare sotto il profilo della responsabilita' civile di recente formalizzato con la legge 13 aprile 1988, n. 117, rischio sempre incombente malgrado l'appassionato sforzo profuso dai componenti. Sforzo che lo Stato (art. 12 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) bensi' qualifica come meritevole di un riconoscimento d'indole patrimoniale, salvo poi estrinsecare il precetto in provvidenze irrisorie tali da sottrarsi - in forza della loro ben nota esiguita' - alla nozione di remunerazione o del corrispettivo. Cio' nonostante - benche' la funzione giudicante nel settore tributario (ormai pacificamente acquisita all'alveo del potere giudiziario) non sia per lo piu' svolta da magistrati di carriera, retribuiti con stipendio per quanto attiene le loro prestazioni istituzionali; e benche' alla competenza per valore delle commissioni tributarie non sia fissato un tetto massimo - al magistrato fiscale (come, con preciso ma altrettanto irragionevole parallelo, al personale amministrativo preposto alla relativa segreteria) non sono stati estesi i benefici economici - sinallagmaticamente connessi con i "rischi" e gli "oneri" dell'incombenza - che recenti provvedimenti legislativi (legge 19 febbraio 1981, n. 27, in Gazzetta Ufficiale n. 52 del 21 seguente; legge 25 ottobre 1982, n. 795, in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 3 novembre successivo; legge 6 agosto 1984, n. 425, in Gazzetta Ufficiale n. 217 dell'8 seguente) hanno invece attribuito a tutti gli altri organi, monocratici o collegiali, chiamati a rendere giustizia nella Repubblica, senza differenza per l'estrazione, vuoi concorsuale vuoi popolare, delle persone fisiche ad esse assegnate. Mutatis mutandis identico, si ripete, il regime riservato al personale ausiliario (legge 22 giugno 1988, n. 221, in Gazzetta Ufficiale n. 146 del 23 giugno 1988 e legge 15 febbraio 1989, n. 51, in Gazzetta Ufficiale n. 40 del 17 febbraio 1989), cui codesta Corte potra' estendere il proprio giudizio avvalendosi dei poteri rimessile dall'art. 27 della legge n. 87/1953. L'irragionevolezza dell'esclusione pare trasparente. Basti por mente all'irrinunciabilita' da parte dello Stato, nell'attuale sistema, al contributo dei componenti delle commissioni tributarie, finalizzato al corretto funzionamento dell'amministrazione della giustizia, munus publicum obbligatorio di tutt'altro che lieve entita' vuoi per gli oneri di studio e di aggiornamento che impone vuoi per i gia' accennati rischi a titolo di responsabilita' pecuniaria cui espone. Che' anzi, a ben vedere, gli uni e gli altri sono tanto piu' pesanti nell'opera di chi, non essendo magistrato di carriera, la esplica non professionalmente, in quanto costretto a deputarvi una frazione ridotta del proprio tempo e purtuttavia, talora, con margini di rischio in astratto di gran lunga maggiori (si pensi che la competenza pretorile e' limitata nel massimo - a differenza di quella delle commissioni tributarie - in relazione al valore della contesa fino a cinque milioni di lire). Il fenomeno si traduce inoltre in un'incisione della sfera di indipendenza di giudizio che deve improntare l'operato dei giudici tributari, perche' puo' incoraggiarne - e la stessa ipotesi costituisce un'ombra che il legislatore ordinario e' tenuto a cancellare - la propensione a soluzioni di sostanziale maggior comodo e di piu' tranquillizzante deresponsabilizzazione. L'omissione lamentata delinea quindi una pluralita' di lesioni al precetto costituzionale, con riferimento specifico: all'art. 3, per l'ingiustificata sperequazione di trattamento fra cittadini a fronte di situazioni assimilabili; all'art. 101, secondo comma, per la concussione del diritto-dovere del giudice tributario di operare sciolto da qualsiasi altra considerazione che non sia la stretta osservanza della legge, in linea con i connotati di buon andamento e di imparzialita' che altrove (art. 97, primo comma, della Costituzione) sono posti alla base dell'azione dello Stato apparato; all'art. 107, terzo comma, per l'ingiustificata sperequazione di trattamento fra magistrati, essendosi introdotto un motivo di distinguo diverso da quello derivante dalla diversita' delle funzioni. L'altro requisito edittalmente previsto per la rimessione al giudice delle leggi - relativo alla rilevanza della questione al fine del decidere sull'odierna vertenza - e' integrato, da un lato, dall'emergenza che la linearita' e la trasparenza della risposta giudiziaria vengono qui messe in forse dalla convinzione di un'iniqua subalternita' del ruolo e della scarsa considerazione che la funzione svolta riceve dal diritto positivo, e, dall'altro, dal pericolo della fuga verso una pronuncia piu' superficiale e meno gravosa sotto l'aspetto della esposizione personale. Il sistema normativo deve al contrario risultare concepito in modo tale da evitare quella convinzione e quel pericolo.